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L'uva

«Lode a Piacenza» per l’uva da tavola

Foto 01.jpgNel 1871 due ragazzini della Val Tidone, con un carico di sei ceste di uva verdea trainato da un asinello, arrivavano sul mercato milanese di Porta Romana. Frutta e verdura facevano bella mostra in quella frequentatissima piazza, dove già l’uva piacentina era stata fatta conoscere da alcuni commercianti di San Colombano al Lambro. Quei due giovanissimi di Ziano, Filippo ed Ernesto Zerioli, avevano ben intuito quello che poteva essere lo sviluppo commerciale di un grande prodotto della loro terra: l’uva da tavola, coltivata da tempo immemorabile nel territorio piacentino, ma quasi esclusivamente per uso locale. E se quell’uva piaceva tanto ai milanesi, perché non provare anche con l’estero? Dopo qualche anno fu lo stesso Filippo, grande esempio di self-made man, a far conoscere il prodotto sul mercato svizzero. Partito col treno da Castel San Giovanni arrivava a Zurigo con una cinquantina di cassette di Verdea al seguito. Intuito e buona sorte: qui Zerioli ebbe la fortuna di incontrare un commerciante di origine italiana che, nella città svizzera, aveva avviato un negozio di derrate alimentari. Entusiasta della merce, il commerciante firmò con lo Zerioli un contratto per la fornitura, in tempi rapidissimi, di duecento cassette. Non erano certo tempi facili quelli, con una grave crisi agraria che stava mettendo in ginocchio molti settori. Eppure il coraggio non mancava ai nostri viticoltori: «se i piacentini hanno saputo vincere le difficoltà, vuol dire che del coraggio essi non mancano, mentre è di coraggio, molto coraggio, che gli agricoltori hanno bisogno affine di rendere meno gravose le conseguenze della crisi. I rami di produzione che i piacentini hanno saputo far emergere ci sembra sieno quelli dell’allevamento del bestiame specializzato da latte e da carne ed in seguito l’altro, di importanza indiscutibile, relativo alla produzione di uva da tavola». (Lode a Piacenza, “La campagna”, 1 ottobre 1887).

Foto 02.jpgDa qui - da questo coraggio, da questa consapevolezza e da queste scelte - partì uno sviluppo che porterà Piacenza ad affermarsi come capitale dell’uva da tavola, con produzioni quantitativamente rilevanti e qualitativamente di pregio. Verdea, Besgano rosso e bianco, Bianchetta e Vernaccia, coltivate prevalentemente in Val Tidone, Val d’Arda e nella zona di Gropparello divennero richiestissime sui mercati interni ed esteri. Dietro questo sviluppo c’è l’attività di pionieri e divulgatori. C’è l’arrivo sui nostri mercati delle richieste della Francia, i cui vigneti, negli anni Ottanta, erano stati devastati dalla fillossera. C’è l’incontro tra l’intraprendenza di Francesco Cirio, pioniere dell’esportazione ortofrutticola italiana, e il coraggio di nostri viticoltori, come Filippo Zerioli, che assieme iniziarono la conquista prima del mercato francese e, a partire dal 1885, di quello tedesco. Nel 1891 venne spedito il primo vagone nella lontana Amburgo e la merce, arrivata in perfette condizioni, conquistò definitivamente il mercato del Nord Europa. Molto era stato fatto infatti anche sul piano della conservazione e dell’imballaggio, fondamentali per un prodotto così delicato. In un articolo dell’ottobre 1894 pubblicato sul foglio «Indicatore dell’industria e del Commercio» era scritto: «Noi osserviamo che i nostri agricoltori ed in special modo quelli della provincia di Piacenza hanno posto fino a qui e pongono continuamente grandissime cure alla produzione, alla conservazione e all’impacchettamento delle uve da tavola, dalle quali cure risulta appunto che ogni anno sui mercati di Londra, di Parigi, di Berlino e di Vienna sono ricercatissime le nostre uve da tavola ed in special modo la Verdea e il Besgano». Alla vigilia della grande guerra la produzione complessiva di uve da tavola della provincia si attestò su oltre 56mila quintali (con una esportazione di 34.500 quintali). Superata la crisi legata alla Grande Guerra, la produzione riprese, con una progressiva delimitazione geografica e produttiva, specializzandosi nelle zone precollinari e collinari dove trovava un complesso di condizioni favorevoli, di terreno, di clima, di maestranze e di tradizioni. La ricostituzione dei vigneti colpiti dalla fillossera portò ad una revisione dei sistemi di impianto, dei metodi di coltivazione e all’introduzione di nuove varietà (Regina, Chasselas dorè, Moscato di Terracina, Italia, Bicane, Pansa precoce e Zibibbo…). A dar conto dell’importanza di questa produzione furono organizzate a Piacenza importanti mostre, prima su scala provinciale (15 e 16 settembre 1928), poi interregionale e quindi, negli anni trenta, nazionali. La prima mostra nazionale uve da tavola si svolse dal 17 al 19 settembre 1932 in un Palazzo Gotico dalla scenografia spettacolare. Non solo Piacenza. L’uva da tavola piacentina fu anche protagonista alla grande mostra d’ortofrutticoltura di Trento del 1924. E una curiosità: nel 1924, il sindaco di Milano Luigi Mangiagalli vide, in un giardino pubblico allestito per la festa dell’uva del popolo, un viticoltore piacentino, «Filippo Zerioli arrampicarsi ed affannarsi per costruire un artistico chiosco pergolato per lo spaccio d’uva che egli, primo, ideò di presentare in sacchettini di carta oleata da un chilogrammo esatto a mitissimo prezzo. Quante donne egli fece lavorare a questa prima confezione che piacque assai, e quale ressa al chiosco Zerioli! Tale da richiedere l’intervento dei Vigili».