L'inchiostro sciamanico
Ero dietro la biblioteca di Via Palestro e mi sentivo un bambino con i capelli bianchi, che aveva tempo per pensare a Simona.
Poi sarei dovuto correre all'appuntamento, e ridevo della mia ossessione.
“Non lo costruirai mai, hai capito Randa ? Mai.”
A Enrico piaceva schiacciare gli insetti, ma adesso lo avrei voluto al mio fianco.
“Questo è l'indirizzo e questo è il contatto che devi cercare.” Eravamo di fronte a Palazzo Serbelloni e lui stava davanti alla cancellata di quel giardino privato. Ma i conti non tornavano:
“Pensavo di dover andare molto più lontano” gli dicevo. Intanto gli passavo la busta con i risparmi che Simona si era lasciata rubare. Lui mi sorrideva e mentre contava i soldi vidi arrivare Enrico.
“Cosa stai facendo!”
Ho l'indirizzo, ma Enrico non mi lascia parlare. L'altro non c'è più.
“Quando Simona me l'ha detto, non ci volevo credere!”.
“Mi accompagnerai, vero? Sono due giorni di auto.”
“Io lavoro.”
“E' una fortuna, perchè io non ho più soldi.”
Cado a terra per schivare una bici che corre sul marciapiede, e vedo il foglio volare via.
“Non sono due giorni di viaggio.” Enrico guidava.
“Enrico, perfino con te al volante ci arriviamo.”
“Randa, sono due giorni e DUE NOTTI di viaggio.”
Enrico rallentò: eravamo alla dogana di Chiasso. Notò subito che ero impallidito.
“Che hai?”
“Ecco, è meglio che non controllino il mio zaino.”
“Hai portato qui le tue boccette!”
Una paletta rossa ci bloccò.
“E' inchiostro sciamanico.”
Le sette boccette sul tavolo erano il confine tra me e l'ufficiale della dogana, una bella donna con un tic agli occhi.
“Mi deve però spiegare perchè i cani antidroga abbaiavano verso il suo zaino.”
“Ora capirà tutto.”
Il vento fuori cessò.
Enrico ancora non capiva cosa avessi fatto. Ci avevano rilasciato.
Era notte e avevamo lasciato l'auto in mezzo alla strada, proprio di fronte al lago di Brienz.
Mentre parlavo ad Enrico della vendetta del Mare di Wadden di 10 anni fa, salimmo sull'enorme traghetto. Sylt si intravedeva dietro i cappelli di un gruppo di anziane coreane. La mia testa si stava spaccando, ma invece di partorire una dea, sputava solo il nome di mio padre.
Sylt ci veniva incontro.
Jordsand era là. Eravamo all'estremità orientale di Sylt ed il mio braccio teso era come il legno di un rabdomante.
Enrico amava il mare, ma non si fidava del mosquetaire che avevamo noleggiato.
“Ecco, sta arrivando.”
Davanti a noi il mare si apriva, e possentemente Jordsand riemergeva.
“Enrico aiutami. Abbiamo poco tempo.”
Non avevo mai visto una bassa marea simile: Jordsand non era più sommersa. Tolsi il lungo pennino dal pacco ritrovato.
“E’ bellissimo. Di cosa è fatto?” mi chiese Enrico
“E’ composto da una lega che solo pochi orafi sanno realizzare.”
Enrico iniziò a dispiegare i sottilissimi fogli riposti nel suo zaino, mentre io disponevo le boccette su una roccia. In breve, ricoprimmo completamente la lastra di basalto. Intinsi la punta del pennino nella prima boccetta e iniziai a disegnare.
L’inchiostro si dispiegava preciso sui fogli umidi, e le linee s’incrociavano veloci. Enrico gridava la sua meraviglia osservando la magia che si compiva.
Il mio corpo percepiva la marea che tornava. Avevo completato le vele: mancava solo l’albero maestro.
“Randa, il mare sta tornando.”
Sentivo la mano di Enrico sulla spalla.
“L’acqua non può oltrepassare le righe” sussurrai.
L’albero era finito e mi alzai ad osservare il mare. Salutando mio padre salii lentamente sul trimarano. E ricominciai a vivere.