Il viaggiatore
In una domenica di luglio io e Cristina, con poca voglia di alzarci, poltriamo a letto chiacchierando.
«A proposito di fatti strani, ne ricordo uno che mi è accaduto quando ero ancora un semplice agente.»
«Dai, racconta!»
«Una mattina ricevo una chiamata da un amico che lavorava all’Archiginnasio, avevo poco da fare e l’ho raggiunto subito.
Appena arrivato mi indica un signore piuttosto anziano in giacca e cravatta seduto in un angolo. Nota bene che era luglio e il caldo era davvero asfissiante ma l’uomo non sembrava soffrirne, era assolutamente assorto nella lettura.»
«E dove sta il problema?» Ho chiesto.
«Ѐ una settimana che viene qui in biblioteca tutte le mattine appena apro e mi hanno detto che rimane fino alla chiusura. Sempre lì in quell’angolo a leggere.»
«I documenti?»
«Ecco anche questo è strano. Ѐ un apolide, pare venga dall’Iran, ha lineamenti arabi ma parla benissimo l’italiano. Stranamente, però, sul passaporto non ha timbri di ingresso o uscita.»
«Non mi pare che commetta reati.»
«Sì, però, non so perché mi preoccupa, potresti parlarci? Sei in divisa e quindi dovrebbe darti retta.»
«Va bene, ma solo perché sei un amico!»
Mi sono avvicinato a quello strano tipo. Mostrava una età indefinibile, cinquanta diceva il passaporto, ma da vicino sembrava molto più vecchio.
Si è accorto subito di me e ha alzato gli occhi.
«Buongiorno agente.» Mi ha detto.
«Buongiorno, possiamo fare due chiacchiere?»
«Nessun problema, però usciamo dalla sala che altrimenti disturbiamo.
Su indicazione dell’amico ci siamo seduti in una saletta attigua e garbatamente ho iniziato la chiacchierata.
«Lei viene dall’Iran?» Ho chiesto.
«Sulle carte c’è scritto così.»
«Perché non è vero?»
«No, no sono stato anche lì, ma io ho girato il mondo intero.»
«Come mai a Bologna?»
«Un caso, ho letto altrove una storia ambientata qui e ho voluto visitare la città.»
«E come mai passa tanto tempo in biblioteca?»
«Cerco altri posti in cui andare, anzi penso che me ne andrò presto.»
Sorride ancora, in maniera affabile e rassicurante.
Non c’è molto da aggiungere: ci salutiamo e il personaggio torna a leggere nel salone.
Prima di uscire, mentre rassicuro l’amico, un refolo di vento unito ad uno strano e forte odore ci raggiunge. Quell’odore che fa il mare dopo una tempesta, misto di sale e organismi in decomposizione.
Torniamo in sala incuriositi.
L’odore viene dal posto in cui leggeva il nostro uomo. Lui non c’è più, rimane solo questo afrore intenso.
«Dove è andato, chiedo?»
«Uscito non è, ci sarebbe passato davanti. Vado a vedere in bagno.»
Il mio amico torna dopo poco scuotendo la testa.
«Non capisco, si è come volatilizzato.»
Mi avvicino al bancone ove è rimasto aperto il libro che stava leggendo: il Moby Dick di Melville. Un biglietto scritto a mano sporge dalle pagine, lo leggo:
“Non sono mai stato a Nantucket, un saluto a voi.»
La firma ha l’aspetto di un’ala di gabbiano. Guardo il mio amico e lui guarda me mentre prende il libro e lo ripone al suo posto, poi aggiunge: «Sarà meglio non raccontare a nessuno questa storia.»
«Sono d’accordo gli rispondo.»
«Quindi?» Mi chiede Cristina stiracchiandosi sul letto. «Io sapevo che i libri fanno viaggiare con la fantasia… Ma costui lo faceva davvero!»
«Così pare, è rimasto un mistero: chi fosse, da dove venisse e da dove traesse il potere di viaggiare in quel modo.
«Come si chiamava?»
«Ermes di nome, il cognome non lo ricordo.»
«Hermes come Mercurio, il dio dei viaggi…»
«Hai ragione, che fosse lui?»
Non attendo risposta e poggio le labbra sul suo sorriso.