Il bloc-notes di un bambino
Finita scuola, quando ero piccolino, il mio primo pensiero su cosa fare del resto della giornata era quello di dirigermi fino in via Giosuè Carducci, per entrare nella biblioteca comunale della città di Piacenza, la Passerini-Landi. Fuori da essa convivevano i mali amari del mondo, che tormentavano le menti degli uomini, inclusa la mia, cosi innocua e ingenua. Andavo lì non tanto per leggere, quanto per osservare incantato quello che aveva da mostrarmi, e per scrivere su ciò che mi affascinava. Là fuori mi sembrava tutto difficile e impetuoso, ed io mi nascondevo tra gli scaffali, come farei tra la sottana di mia madre. Osservavo le copertine dei libri usati e riusati, toccati dalle mani più disparate, dalle più callose alle più morbide, di studenti e lettori.
Non ho idea di quante volte io mi sia innamorato, per strada o al bar, ma quasi tutte le volte che lo capivo, lo capivo in biblioteca. Non ricordo neanche quante volte io sia rimasto in silenzio, per ore e ore, e quante ne ho passate ad osservare chi e cosa mi circondava. La caratteristica che mi estraniava di più era che non conoscevo nessuno, a causa dei miei acuti silenzi, che però almeno li era cosa comune. Era come un grande coro silenzioso che tutti i presenti facevano echeggiare nelle aule e nei lunghi corridoi, ed era quasi assordante. Per alcuni il silenzio può essere o è piacevole, ma spesso scambiavo involontariamente la tensione con il silenzio, poiché simili nella mia testa per via del silenzio che veniva dopo le lunghe romanzine a scuola o a casa. Mi capitava a volte di saltare scuola con l’unico obiettivo di andarmi a godere l’apertura e rimanevo lì ad aspettare quella donna o quell’uomo che ci avrebbe aperto le porte del sapere, che avrebbe finalmente aperto alla plebe intera. Come fosse una enorme fontana che ritorna a sgorgare acqua ogni mattina con il chiaro scopo di dissetare le gole deserte, che hanno sete di conoscenza. Ero li ad osservare, ad apprendere da tutto e tutti, scrivevo e leggevo.
Ricordo quel giorno in cui capii di avere ancora qualche speranza da riversare al mio interno, che forse non era tutto da buttar via. Mi era cresciuto in mezzo al petto un desiderio, quello di ribaltare completamente la mia vita. Di scoperchiarla a tal punto che sarebbe stata irriconoscibile. Di far parte del possente olimpo della biblioteca, quel luogo dove i grandi uomini, ma anche quelli più miserabili, hanno lasciato tracce della loro storia. Aspiravo a diventare parte di quel gran coro di voci, per trovar spazio tra quei scaffali. Dove i bambini si rifugiano dal buio, incantandosi davanti alle copertine rigide dei libri.