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Alla larga dalle biblioteche

di Pietro Chiappelloni

“Biblioteca. Sostantivo femminile singolare. Raccolta di libri per uso di studio, e anche il luogo dove si conservano: dunque sito privo di qualunque interesse, se non per la possibilità di incontri presso la macchinetta del caffè; per il resto da evitare assolutamente.”

Definizione perfetta. Alla larga dalle biblioteche. “Raccolta di libri per uso di studio”, mah: se lo studio non serve nella vita, come ci dimostrano tanti famosi e tanti politici, anche i “libri per uso di studio” sono inutili. Questi famosi li idolatriamo lo stesso. Questi politici li votiamo lo stesso. Anzi, più sono ignoranti più li votiamo. Guarda Tizio, mai fatto niente per i cittadini onesti eppure è ancora lì, da decenni. Ma non distraiamoci, stavo parlando dei “libri per uso di studio”. Che poi una volta sono entrato nella biblioteca della mia città – errore mio, la biblioteca si chiama Passerini-Landi e volevo capire cos’erano questi uccelletti, i passerini landi – sono entrato, dicevo e, prima di scappare urlando per paura degli strani personaggi che c’erano, mi era sembrato di vedere non solo libri per uso di studio, ma anche romanzi, racconti, guide, riviste, quotidiani, video. Persino fumetti. Mah.

Sì, c’erano strani personaggi. Pensate, gente con libri in mano, in silenzio. Pazzesco. Devo dire due cose a questo proposito. La prima: libri in mano. Che senso ha? Col cellulare puoi passare il tempo molto più comodamente. Non devi nemmeno girare le pagine, col dito scrolli, digiti, apri, rispondi, fai tutto. Mentre il libro se ti va bene ha le figure, se ti va male solo parole. E le figure, se ci sono, vuoi paragonarle ai video del tuo smartphone? Non c’è confronto. Il video ti fa vedere tutto. Perché sforzarsi a immaginare? Perché pensare a mondi che sono solo tuoi, reali o fantastici, microscopici o immensi, quando invece puoi guardare o sbirciare per qualche secondo un mondo che un altro ti ha messo lì già bell’e pronto? Lascia stare.

Seconda cosa che, dicevo, mi ha colpito: tutti zitti, o al massimo a parlare sottovoce. Pazzesco. Ma come si fa a non urlare, mi chiedo, anche se devi parlare con uno che hai davanti? Metti che quello che dici interessi a un estraneo dall’altro lato della biblioteca, o a uno qualunque nella sala. Perché non tenere tutti al corrente di quello che fai stasera, o di cosa hai mangiato, o di qualunque tua attività? Invece tutti questi strambi lì zitti. Non ha senso.

Pensate, gente che leggeva o cercava qualcosa da leggere. E, dimenticavo: persone che studiavano! Pazzesco, vero? Non sto a ripetervi quanto ho detto poco fa su questa attività, mi avete capito. Perché farsi del male? Perché leggere, o studiare, quando puoi guardare uno schermo che ti fa vedere quello che vuoi? Senza sforzo. Che poi magari leggendo trovi una parola che non conosci. Come fai? Col cellulare scrolli e tac, ti compare un’altra cosa e così ti dimentichi istantaneamente di quella precedente. Ma se stai leggendo un racconto o un romanzo, come fai? Magari quella parola ti serve per capire il seguito, e dopo tutto lo sforzo per arrivare fin lì mica puoi cambiare libro. Ti tocca cercare il significato, imparare una cosa nuova. E qui torniamo al punto di partenza, che lo studio non serve nella vita. Del resto, Pennac (l’ho letto su qualche social) ha detto: “Ogni lettura è un atto di resistenza”. E perché mai dovremmo resistere a un mondo che va così bene, così perfetto, sano, in pace e dove tutti hanno gli stessi diritti? No, fidatevi. Alla larga dalle biblioteche.

Racconto terzo classificato per la Sezione Adulti
Contest di scrittura Storie di Biblioteca